Bambini iperstimolati: ma serve davvero?

Bambini iperstimolati: ma serve davvero?

 

È opinione comune e piuttosto radicata che per poter crescere e svilupparsi pienamente il bambino necessiti fin dall’inizio di essere adeguatamente stimolato.

È certamente vero che i primi anni di vita rappresentano un periodo estremamente importante e fertile, un intervallo di tempo in cui si gettano le basi per tutti gli apprendimenti futuri. Occorre però operare una riflessione circa cosa significhi “stimolare” un bambino e quali effetti questo comporta.

In una società frenetica ai limiti del patologico, in cui gli individui sono spinti al consumo veloce e alla competizione continua, anche i bambini finiscono inevitabilmente per divenire oggetto di un vero e proprio bombardamento massiccio e continuo di stimoli.

Già a pochi mesi si ritiene che possano annoiarsi se non gli si offrono continuamente nuovi oggetti da toccare o guardare. Vengono messi seduti precocemente con supporti vari e gli si propinano giocattoli di plastica dalle mille luci, suoni e colori, nell’idea che essi siano più ricchi e dunque funzionali allo sviluppo. Insomma, gli si offre troppo e troppo presto, senza preoccuparsi adeguatamente della loro effettiva capacità di elaborare e “digerire” una tale quantità di stimoli.

E come afferma Umberto Galimberti:

 

Quando gli stimoli sono eccessivi rispetto alla capacità di elaborarli al bambino restano solo due possibilità: o ‘andare in angoscia’, o ‘appiattire la propria psiche’ in modo che gli stimoli non abbiano più alcuna risonanza. In questo secondo caso siamo alla psicopatia, all’apatia della psiche che più non elabora e più non evolve, perché più non ‘sente’[1]

 

Ecco dunque che un proposito positivo rischia di trasformarsi in un’arma a doppio taglio, con ripercussioni anche gravi sulla crescita dei più piccoli. Sono diversi, infatti, gli studi che associano l’iperstimolazione precoce a ipercinesia, irrequietezza, difficoltà di attenzione e concentranzione. L’eccessiva e ripetuta fruizione di stimoli infatti rende necessarie continue nuove stimolazioni affinché l’attività cerebrale si mantenga adeguata.

 

Di cosa ha bisogno la mente del bambino?

 

Maria Montessori definiva la mente del bambino ‘mente assorbente‘, in quanto essa possiede lo straordinario potere di assorbire in maniera inconscia gli elementi presenti nell’ambiente di vita. Fin dalla nascita, ogni volta che il bambino compie un’esperienza (ad esempio guardando, toccando o assaggiando un oggetto) nel suo cervello si lavora alla creazione di milioni di connessioni che costituiranno la sua ‘carne mentale’, gli strumenti cognitivi e comunicativi che lo renderanno un adulto consapevole.

Come detto però, tale assorbimento avviene attivamente quanto inconsciamente. Il bambino è guidato da forze interiori (i periodi sensitivi) che lo orientano nelle sue relazioni con il mondo, ma non possiede ancora gli strumenti per portare razionalmente ordine tra le impressioni ricevute (capacità che si potrà acquisire solo successivamente, ad esempio grazie all’utilizzo del materiale sensoriale di sviluppo).

Per queste ragioni il compito dell’adulto non si può ridurre all’offrire al bambino un ambiente ricco, ma concerne anche il prestare attenzione alla tipologia e alla qualità delle proposte!

Innanzitutto, possiamo decisamente affermare che tanto più il bambino è piccolo, tanto meno risulta valido il principio secondo cui “molto è meglio“.

Ad esempio, offrire ad un piccolo di pochi mesi giochi pieni di luci, pulsanti, immagini e suoni, comporta una quantità di stimoli eccessivamente superiori a quelli che egli può tollerare ed elaborare in relazione alla sua età.

Geniali in questo le intuizioni di Maria Montessori, che oltre un secolo fa aveva compreso l’importanza di rispettare alcuni criteri nella scelta delle proposte per i bambini. L’isolamento della qualità, ad esempio, fa sì che i materiali presentino una sola caratteristica formale per volta (forma, colore, dimensione…), mentre la gradazione dello stimolo rende possibile offrire al bambino una qualità in maniera graduale (ad esempio presentando prima differenze massime tra elementi e, via via, quelle minime).

Insomma, per poter crescere in maniera sana e nel rispetto dei loro tempi, i bambini non necessitano di stimoli eccessivi e inappropriati. Ciò che serve davvero loro è amore, attenzione, contatto umano sincero e risposte adeguate ai propri bisogni. Risposte che possono giungere solo da un osservazione puntuale, attenta e non giudicante.

Fin da piccoli, offriamo loro oggetti semplici, materiali che consentano di esercitare la motricità, il problem solving, il pensiero logico e, naturalmente, l’interazione con l’altro (fondamentale ad esempio per lo sviluppo del linguaggio, che molte ricerche hanno dimostrato essere deprivato proprio a causa dell’utilizzo di troppi giocattoli elettronici, che spingono il bambino ad un uso passivo dell’oggetto).

Ne sono esempio i materiali euristici, quelli per le attività di Vita pratica, le attività pensate per rispondere a specifici bisogni di sviluppo (ad esempio inserire, aprire/chiudere, infilare/sfilare, impilare, trasportare…):

 

 


In conclusione

 

Possiamo quindi affermare che “stimolare” non costituisce una pratica ottimale laddove con essa si miri ad accelerare lo sviluppo infantile, sollecitando insistentemente il bambino con attività e materiali affinché acquisisca certe abilità in anticipo o impari di più.

Diverso è, invece, compiere uno “studio” del proprio bambino, osservarlo con attenzione al fine di comprenderne bisogni e necessità di sviluppo e, solo dopo, organizzare di conseguenza spazi e contesti di apprendimento, consentendogli di compiere attivamente esperienze, fare scoperte e crescere secondo i propri tempi.

Vorrei terminare questa riflessione richiamando alcune parole di Elena Balsamo, pediatra, specialista in puericultura e grande conoscitrice del Metodo:

 

I bambini non hanno bisogno di stimoli, ma di risposte ai loro bisogni. La loro anima sa benissimo di quale cibo devono nutrirsi in ogni preciso momento della loro esistenza. L’importante è non interferire con le direttive della Natura. L’adulto deve solo saper osservare il bambino, interpretare i segnali che questi gli invia e rispondere in modo adeguato.

 

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[1] Galimberti U., Quando l’odio è senza controllo, Larepubblica.it  12 gennaio 2007

 

 

 

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