Educare all’indipendenza

Educare all’indipendenza

 

L’approccio montessoriano è basato sulla libertà del bambino: l’educazione dovrà quindi intervenire per aiutarlo nella conquista della propria libertà. Tale conquista renderà il bambino padrone di se stesso e gli permetterà di rivelare la sua vera natura.

In quanto individuo sociale, il bambino presenta fin dalla nascita legami che in vari modi finiscono per limitare la sua attività.

Un metodo educativo incentrato sulla libertà deve quindi operare prima di tutto per aiutare il bambino a conquistarla, liberandosi da tutti quei legami che limitano le sue manifestazioni spontanee, e guidarlo per i sentieri dell’indipendenza.

Maria Montessori infatti scriveva: “Non si può essere liberi se non si è indipendenti[1].

Libertà infatti significa poter disporre di sé, ma essere dipendenti significa proprio non poter fare ciò poiché, fondamentalmente, non si basta a sé stessi.

Conquistare l’indipendenza significa invece “arrivare a sentirsi capaci di fare da sé, di compiere un’azione utile, importante, senza l’aiuto di altri: potendo fare da soli risolvere i propri problemi, riuscire a un fine difficile col proprio sforzo[2].

Raggiungere l’indipendenza implica quindi anche conquistare la propria autonomia.

Il bambino inizia questo complesso e lungo percorso fin dalla nascita. Se nel grembo materno il bambino era completamente dipendente dalla madre, è proprio dalla nascita che egli ricerca fin da subito la sua autonomia e quindi la sua indipendenza.

Il primo importante passo in questo cammino, dice Montessori, è lo svezzamento: “Che cosa significa bambino svezzato? Un neonato che si è reso indipendente dal seno materno. Lasciata quest’unica fonte di nutrimento, egli saprà scegliere fra un centinaio di pappe, il che vale a dire che i suoi mezzi di sussistere si sono moltiplicati; il bambino sarà capace di scegliere mentre dapprima doveva limitarsi ad una unica forma di nutrimento[3].

Se si considera che fino all’età di sei mesi il bambino è assolutamente dipendente dal latte della madre perché incapace di digerire qualsiasi altro tipo di alimento, si può ben capire quale notevole passo sul piano dell’indipendenza egli compia con lo svezzamento: “Si direbbe che il piccolo di sei mesi si dica: << Non voglio vivere a carico di mia madre, sono un essere vivente e ora posso nutrirmi di tutto>>[4].

All’incirca in questo periodo, dice Montessori, il bambino inizia anche a pronunciare le prime sillabe, che costituiscono la prima pietra del grande edificio del linguaggio. Si tratta di un’altra grande conquista di indipendenza, in quanto rende il bambino capace di esprimere se stesso e i propri bisogni e capire ciò che gli altri gli dicono.

Intorno all’anno d’età poi il bambino inizia a camminare, e ciò “equivale a liberarsi da una seconda prigione[5].

E’ quindi attraverso questi vari gradi che l’uomo si sviluppa, mediante successivi passi verso l’indipendenza che lo portano gradualmente a divenire libero: “E’ la natura che offre al bambino l’opportunità di crescere, gli dà l’indipendenza e lo guida alla libertà[6].

E’ la natura che dirige, che consente la creazione di queste funzioni, che tuttavia necessitano, per essere padroneggiate e sviluppate, di essere esercitate: “Creare non significa solo fare qualche cosa, ma anche permettere che questo qualcosa funzioni[7].

Una volta acquisite queste capacità e aumentata la propria indipendenza il bambino deve quindi essere lasciato libero di operare, di compiere esperienze sull’ambiente, in maniera da permettere un ulteriore sviluppo delle nuove funzioni e dell’indipendenza stessa.

Il problema però è che l’adulto tende ad intervenire in maniera spesso erronea, e tale errore va ricondotto a quella che è l’idea che si ha di indipendenza. Dice Montessori che il vero senso di questo così elevato concetto non è ben colto.

Ad esempio, spiega, noi crediamo di essere indipendenti nel momento in cui nessuno ci comanda ma siamo noi ad avere dei servitori da comandare. In realtà questo è un errore radicale: noi crediamo che sia un vantaggio per l’uomo essere servito in tutto, ma in realtà il bisogno di ricorrere a un servitore per tutto (come il principe che lo fa anche per levarsi le scarpe) provoca un danno!

Il signore che ha molti servi non solo è sempre più dipendente, ma con il tempo i suoi muscoli si abituano all’inattività e infine perdono la capacità all’azione, mentre la sua mente si atrofizza e languisce e allora sì che sarebbe davvero impossibilitato a conquistare l’indipendenza. Per sempre.

Dice Montessori che: “Chi è servito invece di essere aiutato, in certo modo è leso nella sua  indipendenza”[8].

E’ l’attività, il lavoro, che porta il bambino all’indipendenza e gli permette di auto-forgiarsi. Qualora noi fossimo di ostacolo a questo, non potremmo che essere causa di degenerazione: “L’ideale di vita di minor ore di lavoro, di gente che lavori per noi, di ozio sempre maggiore […]. Queste aspirazioni sono segni di regressione nel bambino che non è stato aiutato nei primi giorni di vita ad adattarsi all’ambiente ed ha acquisito un senso di disgusto per l’ambiente e l’attività. E questo tipo di bimbo si mostrerà desideroso di essere servito e aiutato, trasportato a braccia o in carrozzino, sarà schivo della compagnia degli altri e disposto a dormire lungamente: presenterà le caratteristiche che la natura dimostra appartenenti alla degenerazione […]. Chi è nato e cresce normalmente va verso l’indipendenza; chi la evita è un degenerato[9].

Il primo passo per rendersi realmente indipendenti è quindi quello di comprendere che non bisogna desiderare di essere serviti, perché ciò ci renderebbe impotenti. Ciò che conta è, piuttosto, aiutarci gli uni gli altri.

 

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L’azione pedagogica dovrà quindi soprattutto mirare ad aiutare il bambino ad avanzare sulle vie dell’indipendenza, iniziandolo a quelle forme di attività che gli consentano di bastare a se stesso: imparare a camminare senza aiuto, a salire e a scendere le scale, a correre, a vestirsi e a spogliarsi, a lavarsi… Ecco l’educazione all’indipendenza: “[Il bambino] desidera agire secondo la propria volontà, cioè vuole trasportare cose, vestirsi, spogliarsi da solo, mangiare da sé, ecc… […] Egli ha in sé un così vitale impulso che i nostri sforzi sono generalmente spesi, al contrario, per trattenerlo dall’agire[10].

Quello che noi facciamo è servire il bambino: lo trattiamo come un fantoccio inanimato e inabile, spogliandolo, lavandolo, imboccandolo. Non pensiamo che anche se il bambino non sa fare ha comunque per natura tutti i mezzi per imparare a fare: “Il bambino rivela che gli insegnamenti della natura sono ben distanti dagli ideali che la società va foggiando per sé; il bambino cerca l’indipendenza attraverso il lavoro: l’indipendenza del corpo e della mente. […] Dobbiamo intendere chiaramente che quando diamo libertà e indipendenza al bambino diamo libertà a un lavoratore stimolato ad agire che non può vivere se non del proprio lavoro e della propria attività[11].

Il nostro dovere non è quindi quello di sostituirci a lui in tutto, ma piuttosto di aiutarlo a conquistare la capacità di fare da sé e a raggiungere la propria autonomia e quindi l’indipendenza.

Questo è il concetto fondamentale della pedagogia montessoriana, che si può riassumere con le parole di Maria Montessori: “Aiutami a fare da me”.

Aiutare è il contrario di servire: il bambino sempre servito ha bisogno dell’altro per compiere qualsiasi azione. Questo lo renderà dipendente e quindi insicuro nell’agire. Nel confronto con gli altri il bambino troppo servito si sentirà inferiore perché incapace di fare da solo e sempre bisognoso dell’aiuto degli altri. Il fenomeno del servilismo (che è un fenomeno culturale), ha nel bambino ripercussioni negative  che si possono riscontrare soprattutto nella mancanza di autostima dovuta al fatto che non si permette al bambino di utilizzare le sue potenzialità, le sue capacità e le sue attitudini. La scarsa autostima inoltre è una conseguenza dell’impotenza: essere impotenti significa non credere nelle proprie potenzialità e quindi affidarsi completamente all’altro. Di conseguenza nel confronto con gli altri il bambino si sente inferiore e dall’inferiorità possono nascere comportamenti prepotenti e quindi aggressivi: “la prepotenza si sviluppa come una parallela dell’impotenza; è l’ira che sorge ad accompagnare l’accidia[12].

Il servilismo è quindi per il bambino un grande pericolo: crea bambini insicuri e impauriti di agire.

Un’azione pedagogica efficace invece risponde ai desideri e ai bisogni dei bambini, li aiuta accompagnandoli nel raggiungimento della propria indipendenza attraverso  attività soddisfacenti che li rendono capace di agire da soli.

Questo è un compito molto difficile, che l’adulto deve saper affrontare in maniera paziente rispettando i tempi del bambino: “Chi non comprende che insegnare a un bambino a mangiare, a lavarsi e vestirsi, è lavoro ben più lungo, difficile e paziente che non imboccarlo, vestirlo, lavarlo? Il primo è il lavoro dell’educatore, il secondo è il lavoro inferiore e facile del servo[13].

Il periodo sensitivo all’indipendenza inizia circa nel primo anno di vita, quando i bambini chiedono autonomia con tutta la forza che possiedono, ma l’adulto interpreta queste richieste forti come capricci e non legge il bisogno vitale del bambino che sta dietro la grande arrabbiatura.

Agire da buoni educatori significa soddisfare la richiesta e il bisogno del bambino di fare da solo. La richiesta di indipendenza rappresenta proprio una sensibilità del bambino e deve essere soddisfatta nel momento opportuno, ovvero quando egli ne  dimostra l’esigenza, altrimenti è troppo tardi e come tutti i periodi sensitivi, raggiunta una determinata età svanisce.

Un altro importante momento in cui il bambino manifesta chiaramente il desiderio di gestirsi in autonomia, è quello dell’acquisizione del controllo sfinterico.

Intorno ai 12-14 mesi, ha inizio il lungo e lento processo di mielinizzazione delle fibre nervose che prelude al periodo sensitivo del controllo degli sfinteri. Tra i  14 e i 18 mesi, infatti, il bambino inizia a percepire un impulso, ad accorgersi di esso e ad esserne particolarmente interessato. Questo periodo si conclude all’incirca intorno ai due anni, due anni e mezzo, a seconda dello stato di avanzamento della mielinizzazione.

Il controllo degli sfinteri è per l’appunto una forma di controllo, un complesso meccanismo che il bambino deve capire, motivo per cui gli occorre un lungo arco di tempo durante il quale esercitarsi a controllare l’impulso di cui ha preso consapevolezza, cercando di mantenere la muscolatura fino a che non arriva in bagno.

In questa fase possiamo intervenire offrendogli un aiuto intelligente: il vasino.

Essendo il bambino molto sensibile a tutto ciò di sensoriale con cui entra in contatto, il vasino gli permette di cominciare a percepire la sua urina e la cacca, sentendone il rumore, l’odore, potendole osservare, e quindi prendendone coscienza fino a poter dire: “L’ho fatta io!”.

 

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Ciò che resta nel vasino, è l’esperienza (sensoriale) che gli offriamo. Così questa fascia di  4-5 mesi è importante affinché il bambino colga l’impulso, si concentri e si accorga del risultato. E sul vasino questa possibilità aumenta: quando sente lo  stimolo, subito dopo arriva l’urina.  Un meccanismo di causa-effetto, dunque, che lo porta alla consapevolezza, al controllo dell’impulso. E’ la sensazione di bagnato, il fastidio che essa gli procura, a permettere il salto cognitivo, perciò è fondamentale evitare di usare pannolini super assorbenti che lo tengono asciutto per 24 ore.

Dopo aver urinato diverse volte egli è progredito.  Poiché però non si tratta di uno sviluppo lento e costante, possono verificarsi episodi di regressione, anche totale.

E’ importante che, nel caso in cui il bambino si bagni, l’adulto presti attenzione a non rivolgersi a lui con toni giudicatori (“Ma che ti è successo?”). Ciò rischia infatti di smontare il suo lavoro interiore, suonando come un giudizio. E’ sicuramente più indicato fargli notare con un tono dolce e comprensivo che si è bagnato, invitandolo a segnalarci la volta successiva la sua necessità di andare sul vasino.

L’adulto quindi deve acquisire la consapevolezza del fatto che ogni qual volta si sostituisce al bambino nel fare qualcosa che lui sarebbe in grado di fare da solo, è un’occasione persa. E’ attraverso l’autonomia che si forma la dignità dell’uomo. Il nostro dovere è quello di incoraggiare la ricerca di questa autonomia, aiutando il bambino a divenire indipendente.

Lo scopo di questo cammino è infatti il sorgere della personalità individuale, che mediante l’indipendenza si forma e diviene capace di funzionare per se stessa: “La personalità comincia quando l’Io si è sciolto dai legami di altri Io, e comincia a poter funzionare da solo. E’ evidente che la personalità è allora spinta dal “sentimento” del proprio valore e questo sentimento fa cercare delle opere da compiere sempre più importanti. Allora viene appunto la spinta al progresso: e l’educazione deve preparare l’ambiente che si presti allo svolgimento dello sviluppo della personalità[14].

Offrire alla personalità in via di costruzione un ambiente adatto e dargli la possibilità di fare da sé, senza che altri facciano per lui: questa è la base dell’educazione e della scuola nuova: “Dall’inerzia al lavoro! Questa è la linea di cura, proprio come dall’inerzia al lavoro è la via di sviluppo del bambino normale. Per una nuova educazione, questa deve essere la base; la natura stessa la indica e la stabilisce[15].

 

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[1] M.MONTESSORI, “La scoperta del bambino”, Garzanti, 1999, p. 60.

[2] MONTESSORI M., “Il metodo del bambino e la formazione dell’uomo”, a cura di SCOCCHERA A., Opera Nazionale Montessori, 2014, p. 122.

[3] M.MONTESSORI, “La scoperta del bambino”, Garzanti, 1999, p.62.

[4] MONTESSORI M., “La mente del bambino”, Garzanti, 1999, p. 87.

[5] MONTESSORI M., “La mente del bambino”, Garzanti, 1999, p. 88.

[6] MONTESSORI M., “La mente del bambino”, Garzanti, 1999, p. 88.

[7] MONTESSORI M., “La mente del bambino”, Garzanti, 1999, p. 90.

[8] M.MONTESSORI, “La scoperta del bambino”, Garzanti, 1999, p.62.

[9] MONTESSORI M., “La mente del bambino”, Garzanti, 1999, p. 95.

[10] MONTESSORI M., “La mente del bambino”, Garzanti, 1999, p. 92.

[11] MONTESSORI M., “La mente del bambino”, Garzanti, 1999, p. 94.

[12] M.MONTESSORI, “La scoperta del bambino”, Garzanti, 1999, p.63.

[13] M.MONTESSORI, “La scoperta del bambino”, Garzanti, 1999, p.62.

[14] MONTESSORI M., “Il metodo del bambino e la formazione dell’uomo”, a cura di SCOCCHERA A., Opera Nazionale Montessori, 2014, p. 122.

[15] MONTESSORI M., “La mente del bambino”, Garzanti, 1999, p. 95.

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