Sul linguaggio: l’opera di costruzione linguistica del bambino dai primi mesi ai 3 anni

Sul linguaggio: l’opera di costruzione linguistica del bambino dai primi mesi ai 3 anni

 

Maria Montessori ha dedicato buona parte della propria produzione all’analisi dello sviluppo del linguaggio infantile.

Per la dottoressa è il periodo sensitivo legato al linguaggio a rendere il bambino estremamente sensibile alla parola. Il bambino nasce dotato di una risorsa importantissima: la nebula del linguaggio. Essa permette l’acquisizione naturale della lingua e scompare una volta che questa è avvenuta.

Questo concetto è stato confermato dalla linguistica moderna: secondo Noam Chomsky un bambino è capace di raggiungere una padronanza perfetta di una lingua, ad un livello assai maggiore rispetto a quello dell’adulto, senza un insegnamento intenzionale.

Per Chomsky infatti in ogni persona è presente in maniera innata un meccanismo che permette lo sviluppo linguistico, il L.A.D (acronimo che sta per “dispositivo di acquisizione del linguaggio”) che predispone l’individuo a:

 

  • Accoppiare suoni e significati;
  • Distinguere la struttura superficiale da quella più profonda;
  • Conoscere le tre componenti fondamentali (fonologico, sintattico, semantico).

 

Fin dai primi mesi di vita il bambino sorride ed emette suoni quando qualcuno gli parla, volgendo la testa verso chi parla e cercandolo con gli occhi.

E’ importante che gli si parli fin dall’inizio, ma in modo che il bambino possa sempre percepire da dove proviene il suono, cogliendo i movimenti che lo producono.

Verso i 9 mesi comincia ad essere in grado di eseguire piccole consegne dell’adulto. Non è però ben chiaro cosa il bambino comprenda. Coglie davvero il significato della frase rivoltagli o solo il contesto mimico, l’intonazione, ecc..?

Possiamo supporre che il bambino abbia una comprensione sincretica, cioè che inizialmente egli reagisca più che altro al tono generale del discorso, comprendendo vagamente e sincreticamente le intenzioni e i desideri di chi gli parla.

A partire dai 9 mesi invece, comincia a comprendere il significato di alcune parole (collegando certi oggetti o persone a parole), e dai 12 mesi anche alcune frasi più complesse. Ciò di cui si parla deve però essere riferito alla realtà in quel momento percepibile dal bambino, poiché egli non gode ancora della capacità di servirsi di rappresentazioni.

 

Prime vocalizzazioni e lallazione

 

La prima attività fonica del bambino è caratterizzata dalla produzione di vocalizzazioni e lallazione. Le vocalizzazioni consistono nella produzione di suoni vocalici modulati in intensità, e ne esistono due tipi: i vari suoni emessi durante il pianto e la vera e propria vocalizzazione (cioè i vari suoni indipendenti dal pianto; a partire dai 2 mesi).

Sia il pianto che le vocalizzazioni sono considerati segnali comunicativi anche se non intenzionali, poiché istintivi e con lo scopo di comunicare ai conspecifici (soprattutto la madre) gli stati e i bisogni del bambino.

Dai 3 ai 6 mesi inizia quindi una prima fase di lallazioni caratterizzata prima da cantilene di suoni vocalici, poi dai primi legami tra suoni vocalici e consonantici e, infine, a partire dai 6-12 mesi, dalla produzione e ripetizione di sillabe. Inizialmente il bambino riproduce una sillaba che ha emesso casualmente (autoimitazione e reazione circolare secondaria), poi imita anche la produzione verbale degli altri (dai 6/9 mesi circa).

 

Le prime parole

 

Si può affermare che in media i bambini pronuncino le loro prime parole tra i 10 e i 12 mesi.

Si tende a considerare superata la fase di lallazione e iniziata quella delle prime parole quando il bambino/a usa le stesse sillabe (ma-ma; pa-pa…) non più a caso, ma associandole con una certa stabilità a particolari oggetti, persone o stati emotivi. Quando cioè non sono più semplici emissioni foniche, ma hanno un intento comunicativo e una certa costanza di significato. Inizialmente il bambino comunica con espressioni di una sola parola (parola-frase o parola olofrastica), mentre verso i 15 mesi mette insieme anche due parole.

Queste prime parole fanno di solito riferimento a oggetti o persone, mentre sono assenti parole-funzione (cioè preposizioni, avverbi…).

 

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Dalle prime parole alle prime frasi

 

A partire dal secondo anno di vita il bambino non comprende più solo il tono generale o il significato di singole parole, ma può capire anche quello di semplici frasi, anche di quelle che si riferiscono a realtà non presenti (dai 18 mesi-pensiero simbolico). Il linguaggio ha potere comunicativo ma anche di regolazione del comportamento.

Lo sviluppo fonologico può essere analizzato ricollegandosi alla Teoria di Jakobson: secondo questo studioso nella fase di lallazione il bambino è in grado di articolare una quantità e diversità di suoni stupefacente, ma con il passaggio dallo stadio prelinguistico a quello delle prime parole, egli perde questa capacità di produrre tutti questi suoni, con la scomparsa non solo di quei suoni che non sono tipici della lingua del suo ambiente, ma anche di alcuni che vi sono propri, che vengono riacquisiti dal bambino solo col passare del tempo (ad es. le sibilanti).

Ciò perché il bambino tenta di coordinare tra loro i vari suoni per creare una parola dotata di significato che gli permetta di comunicare, e tutto ciò lo porta alla massima semplificazione e alla ricerca di opposizioni fonologiche chiare, semplici e facilmente memorizzabili.

Lo sviluppo fonologico avviene quindi attraverso differenziazione. Il bambino costruisce il proprio sistema fonologico producendo prima quei fonemi che si differenziano massimamente tra loro, poi quelli che si differenziano meno e via discorrendo. In sostanza quindi il bambino a riconoscere /p/ in assoluto, ma perché /p/ non è /b/ ecc…

Il processo di differenziazione attuato dal bambino segue questo corso:

 

  •                 Distinzione tra vocali e consonanti.
  •                 Distinzioni tra le varie consonanti (orali e nasali; labiali e dentali).
  •                 Distinzioni tra le varie vocali (aperte e chiuse).

 

La teoria di Jakobson gode di molti consensi, tuttavia le tendenze dello sviluppo fonologico sono anche influenzate anche dai rapporti affettivi ed emotivi che il bambino ha con l’ambiente. Ad es. se il bambino mostra particolare interesse per la parola “succhiotto” pronuncerà la parola “sciusc” prima di “mamma”.

Tutto questo è la dimostrazione del fatto che il bambino non assimila “pappagallescamente” le parole come le sente dall’adulto, ma attraverso un complesso sistema che tiene conto di molte tendenze.

Per quanto concerne lo sviluppo semantico, inizialmente la parola ha per il bambino un significato molto meno specifico di quanto lo abbia per l’adulto, ad es. le parole del bambino non si riferiscono a qualcosa di chiaramente definito come uno specifico oggetto, ma magari a una intera situazione. Inoltre le parole dei bambini tendono ad avere un significato meno stabile, tanto che il bambino tende anche ad attribuire ad una stessa parola più significati. Lo sviluppo semantico implica la capacità da parte del bambino di attribuire ad una parola sempre lo stesso significato.

L’ipotesi più accreditata è che, nel corso dello sviluppo semantico, il bambino procede, almeno per alcune parole, da un uso ristretto a un uso generalizzato, raggiungendo a volte anche una eccessiva generalizzazione, prima di arrivare ad attribuire ad una parola lo stesso significato attribuito dalla comunità adulta (es. bambina che prima usa “bata” per “basta” solo quando non vuole più mangiare e in seguito anche in altre situazioni). Il caso della sovrageneralizzazione semantica non è altro che una sorta di “adattamento per eccesso” che il bambino compie nel tentativo di arrivare all’uso corretto della parola (“ace” per “grazie” non solo quando riceve una cosa ma anche quando la dà). Questo meccanismo di generalizzazione  può scaturire dal fatto che il bambino riferisce una parola, legata a uno specifico elemento, anche ad altre parti dell’insieme in cui quell’elemento è incluso (ad es. chiamare “am”, cioè “mangiare”, non solo il cibo ma anche il piatto), oppure sulla base di qualità funzionali, materiali, visive… (la bambina chiama “tita”, cioè “matita”, anche la penna, i colori… poiché servono tutti a scrivere). Inizialmente il bambino considera una alla volta diverse caratteristiche percettive o funzionali degli oggetti, alla fine ne considera di più contemporaneamente.

E’ possibile affermare che il bambino costruisce il significato delle parole attraverso complessi processi di formulazione di ipotesi e (anche grazie all’adulto) verifica tra nome attribuito e oggetto. Il bambino modifica il suo sistema anche grazie ai successi che riscuote per farsi capire dagli adulti e l’adulto comunica al bambino quali sono i criteri di costruzione dei concetti (“quella non è un ‘cane’ ma una ‘mucca’, perché fa “muuu””).

Verso i 18 mesi (con l’acquisizione del pensiero simbolico) il bambino comincia a produrre le prime frasi di più parole, ciò perché ormai ha a disposizione un buon numero di parole non più usate in modo vago ma stabilmente connesse a certi oggetti o elementi, e perché grazie al pensiero simbolico è in grado di superare i limiti del dover agire solo sulla realtà percepita (il nome acquisisce sempre più la funzione di simbolo che sta al posto di qualcos’altro).

Verso i 3 anni il bambino comprendere anche frasi abbastanza complesse e inizia ad apprendere le prime regole morfologiche: questo avviene non semplicemente per passiva acquisizione dei modelli adulti, ma attraverso un’opera di scoperta e costruzione della lingua. Questo è dimostrato da fenomeni come gli “Ipercorrettismi” in cui il bambino applica una regola da lui scoperta anche a termini che non la seguono (es. “diciato” per “detto”).

Tornando a quanto sostenuto dalla Montessori, sebbene a livello esteriore quindi lo sviluppo del linguaggio possa apparire come estremamente lento, in realtà nell’interiorità infantile si verifica un progresso continuo, caratterizzato da vere e proprie “esplosioni”!

Per spiegare la facilità con cui il bambino realizza l’assorbimento del linguaggio Montessori propone la metafora della macchina fotografica.

Poniamo la situazione in cui io dovessi ritrarre un oggetto. Posso farlo con matita e colori oppure posso farlo con una fotografia. Nei due casi il meccanismo è molto diverso: nel caso della fotografia la pellicola della macchina fotografica è capace di ricevere l’immagine di una persona così come quella di dieci, cento o mille, senza che questo comporti maggiore sforzo. La pellicola può quindi ricevere qualsiasi cosa sempre nella frazione di un secondo.

Se invece io volessi ritrarre a mano, farebbe sicuramente una gran differenza dover disegnare una persona, o cento o mille! Ci vorrebbero molto più tempo e molta più fatica!

Nel caso della pellicola invece l’immagine si impressiona su di essa e poi al buio viene effettuato lo sviluppo e quindi il fissaggio.

Così avviene anche per il meccanismo psichico del linguaggio del bambino: inizia ad agire nell’oscurità dell’inconscio del bambino, si sviluppa, si fissa e quindi si rivela apertamente!

Naturalmente noi non abbiamo la possibilità di vedere come questo processo interiore si verifichi ma possiamo solamente cogliere solo le manifestazioni esterne di questo straordinario processo.

Anche in questo caso l’adulto deve essere consapevole delle competenze di cui il bambino è dotato e agevolare il suo lavoro di costruzione, supportandolo e facilitandolo.

Come fare?

Per ulteriori consigli, leggi l’articolo QUI.

 

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